Intervista Dott.sa Rudà

Intervista Dott.sa Rudà

Intervista Dott.sa Rudà

Di seguito l’intervista alla dottoressa Roberta Rudà, primaria dell’Unità Operativa Complessa di Neurologia dell’Ospedale di Castelfranco Veneto; presidente dell’Associazione Italiana di Neuro-Oncologia (AINO) e membro dell’Executive Board dell’Associazione Europea di Neuro-Oncologia (EANO).

Come mai, a partire dall’ampio panorama della Neurologia, ha deciso di dedicarsi alla Neuro-oncologia?

Clicca qui per vedere l’intervista.

Quando ho iniziato io si era una sorta di pionieri nella Neuro-oncologia. Era quasi difficile essere attratti da questa disciplina, che invece adesso sta andando a mille all’ora e piace moltissimo ai giovani. Questo mi riempie di gioia, dato che credo che riusciremo a dare un futuro a questo settore così particolare e complesso. Quando ero studente a Medicina mi piaceva moltissimo il cervello, in tutti i suoi aspetti: dall’anatomia alla fisiologia, così complessa, alle neuroimmagini. In tutti gli ambiti, secondo me, la parte più affascinante era il cervello, quindi sicuramente l’orientamento sulla Neurologia è partito dai miei studi. Quando ho iniziato la frequenza come tirocinante nei vari reparti mi piaceva il paziente oncologico, il paziente grave. Sentivo che c’era la necessità di migliorare soprattutto per questo tipo di pazienti, ma ovunque, in tutte le discipline. Anche il destino ha influito: l’essere torinese, l’aver avuto di possibilità di frequentare una scuola dove erano presenti due neurologie, di cui una era quella del professor Schiffer, con un particolare interesse per la neuro-oncologia, portato poi avanti dal professor Soffietti nella sua parte più clinica. Li’ iniziavamo l’approccio al tumore cerebrale proprio dall’anatomia patologica con un metodo molto all’avanguardia e che mi è servito molto. Il tumore cerebrale si presenta in un organo complicatissimo, che quasi prevale sul tumore nella sua complessità ed è giusto, per questo, che sia il neurologo ad occuparsene. Torino era anche l’unico ambito con un contesto di neuro-oncologia accademica, questo ha fatto sì che siamo riusciti a creare un interesse nei giovani, che oggi portano avanti il discorso anche in altri centri.

Un problema è che la Neuro-oncologia non è una disciplina a sé. Formarsi come neuro-oncologo è un percorso non facile. Si sono portati più avanti, in questo senso, gli americani che hanno creato una sub-specialty in Neuro-oncology. Questo ha delle ricadute molto importanti, perché porta a delle positions specifiche. In Italia viviamo la contraddizione di una disciplina che si sta ampliando velocemente, ma il cui percorso formativo non è ancora codificato.

Che consigli dare, quindi, a un giovane ricercatore che vuole occuparsi di neuro-oncologia in Italia?

Clicca qui per vedere l’intervista.

In Italia attualmente ci sono alcuni centri di alto livello che possono garantire uno spettro a 360 gradi della Neuro-oncologia, il che implica un approccio anche traslazionale, che è fondamentale. Io ho iniziato dalla Neuro-patologia, per esempio. Un primo punto può essere: afferire a un centro che garantisca la parte laboratoristica, ma anche quella clinica. Uno poi può decidere in quale direzione sviluppare la propria ricerca.

È, poi, molto importante un periodo formativo all’estero: io ero stata subito dopo la specializzazione al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center a New York, avendo avuto anche la possibilità di conoscere Jerome B. Posner, uno dei padri della Neuro-oncologia. Per chi non ha questa possibilità stiamo lavorando a livello europeo, in particolare nell’EANO (European Association of Neuro-Oncology), proprio per i giovani. Abbiamo creato un gruppo youngsters, molto attivo, che contribuisce a stilare il programma del congresso, con i webinar come strumento importante. Per essere un punto di riferimento anche formativo organizziamo tutti gli anni un winter meeting solo per i giovani che provengono da tutta Europa. Per motivi organizzativi sarà spostato a Luglio e sono già state raccolte molte adesioni. Stiamo attivando una Academy, che verrà chiamata Eano School, che si potrà frequentare online, ma dove, se il covid lo permetterà, sarà anche prevista una rotazione in qualche centro, identificato come di riferimento dall’EANO. Stiamo avviando anche un programma di mentorship: abbiamo identificato dei mentor, che includono me stessa, ma ce ne sono almeno una ventina, che adottano un giovane a distanza e lo aiutano nella sua ricerca, dandogli consigli sul suo percorso professionale. È un’idea nata nel periodo covid, ma in generale c’è molto impegno sui giovani e io me ne sto facendo in parte carico. A livello italiano bisogna essere presenti e attivi a livello delle associazioni scientifiche che si occupano di tumori cerebrali; mantenere un link con le istituzioni che si occupano di neuro-oncologia, come l’AINO. Mi sento di dare per ora questi consigli.

Nella mia esperienza, come essere umano e come giovane medico, ho avuto l’impressione che ci sia una certa difficoltà a parlare di tumori nel dibattito pubblico e nell’interfacciarsi con altre persone: in particolare parlare di tumore cerebrale ha un certo peso e difficoltà. C’è un modo di eliminare questo stigma facendo in modo che se ne parli di più e in maniera più aperta?

Clicca qui per vedere

Certo, in particolare il tumore cerebrale evoca sempre qualcosa di gravissimo. Per fortuna non è sempre così, ci sono delle situazioni che si riescono ad ottimizzare. Per prima cosa bisogna parlarne sempre di più e a diversi livelli: un conto è a livello scientifico, nelle sale visite; tra pazienti, tra pari, è un livello ancora più liberatorio. So che molti miei pazienti hanno delle chat, delle modalità per confrontarsi e condividere delle esperienze sullo stesso livello.

Sicuramente dovrebbero parlarne di più i mezzi di informazione, in maniera rassicurante e informativa su tutte quelle che possono essere oggi le possibilità terapeutiche. Le fondazioni hanno un ruolo importantissimo, soprattutto nel ruolo di collegamento tra super-esperti, pazienti e famiglie. Uno degli obiettivi di queste fondazioni deve essere trovare una modalità di confronto più diretta per parlare con gli esperti. La stessa sala di ospedale, il rituale di una visita medica in ospedale è diverso da trovare uno specialista una sera in un bar a condividere un caffe nell’ambito delle iniziative di queste fondazioni. Parlarne in un altro contesto può aiutare.

Tutti i tumori sono una malattia della famiglia, ma il tumore cerebrale in qualche modo lo è di più. C’è la paura di tutti i familiari, e del paziente stesso, di uno stravolgimento della persona. C’è la malattia cancro che si può condividere con altre persone che hanno tumori più frequenti, però con il cervello c’è la paura di perdere la propria identità. Crea angosce per l’impatto sulla quotidianità di un eventuale stravolgimento cognitivo che coinvolge tutta la famiglia. C’è anche la paura della disabilità futura.

Quali saranno gli aspetti terapeutici su cui si concentrerà maggiormente la ricerca, secondo lei, nei prossimi cinque anni?

Clicca qui per vedere

Mi verrebbe da dire gli aspetti diaagnostico-terapeutici. La Neuro-oncologia ha avuto rapidissimi miglioramenti proprio in ambito diagnostico. C’è stata una nuova classificazione della WHO nel 2021. Sono stati tali e tanti gli avanzamenti in termini di biologia molecolare sul come classificare un tumore, sulle sue mutazioni, che questo ha imposto la necessità di un aggiornamento. È un passaggio estremamente importante, anche sul bambino. Diagnosticare meglio il tumore permette di avere delle terapie più individualizzate sui trattamenti.

Dal punto di vista terapeutico, poi, non non si può pensare solo all’aspetto farmacologico. Gli avanzamenti penso saranno a 360 gradi. I neurochirurghi riescono ad asportare anche in aree che precedentemente non venivano nemmeno sottoposte a biopsia.

Per quanto riguarda le radioterapie bisogna guardare al miglioramento nell’evitare al paziente danni successivi al trattamento stesso. Sono terapie sempre più guidate, come la protonterapia. Non è più come una volta quando si poteva “fare una volta sola”, sono possibili anche eventuali ri-trattamenti.

Andando ai farmaci la medicina di precisione ci coinvolgerà sempre di più nei prossimi anni, andando di pari passo con la biologia molecolare di cui parlavo prima. Quanto più emergeranno vie di segnalazione intracellulari implicate nella crescita delle cellule neoplastiche; tanto più crescerà l’impegno nel trovare farmaci che mirano in maniera intelligente a queste vie. Ad oggi, purtroppo, questi target nel glioblastoma sono rari, si riscontrano al massimo nel 3% dei pazienti. La ricerca va però avanti e contiamo di trovarne sempre di più.

Andando alla ricerca più avanzata stiamo scoprendo che il tessuto cerebrale normale, che un tempo veniva considerato inerte rispetto alla crescita tumorale, può contribuire alla crescita tumorale tramite meccanismi estremamente complessi. Alcuni laboratori si stanno già attivando per trovare dei farmaci che contrastino questi processi.

C’è molta complessità, ma io ho tanta speranza per il futuro.

Vuole mandare un messaggio finale per gli amici di Brainy?

State facendo un grosso lavoro e ne abbiamo molto bisogno. È vero che io cerco di dare speranza e credo tanto nel mio lavoro, ma contemporaneamente noi abbiamo bisogno di voi, dobbiamo sentirci supportati. La battaglia è insieme. Sentire la sensibilità delle persone che promuovono e sostengono queste fondazioni è molto importante per i ricercatori, grazie.